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CONTRATTO DI LAVORO:

IL PATTO DI PROVA VA ACCETTATO PER ISCRITTO


di Andrea Greco


Cass. civ. Sez. Lav., 03/08/2016, n. 16214



“Il licenziamento intimato a motivo del mancato superamento della prova quando non sussista un valido patto scritto in tal senso, è viziato sotto il profilo dell’idoneità causale addotta a giustificazione del recesso datoriale”


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1. LA VICENDA PROCESSUALE.

La vicenda da cui trae origine la sentenza in commento è così riassumibile.

Una lavoratrice impugnava il licenziamento intimatole per mancato superamento del periodo di prova

Nel ricorso deduceva che il recesso datoriale fosse privo di giusta causa e/o giustificato motivo, giacché il periodo di prova di tre mesi concordato per iscritto era già spirato.

La società resistente, nel difendersi, argomentava come la stessa lavoratrice avesse pattuito una proroga di altri due mesi dall’iniziale periodo di prova.

Nello specifico, in riscontro ad una mail aziendale in cui si proponeva alla lavoratrice la lettera di proroga del patto di prova, quest’ultima si offriva di redigerla di proprio pugno, per poi ritrasmetterla alla parte datoriale.

Sennonché la lettera di proroga veniva inviata ma priva di sottoscrizione in calce della lavoratrice, e dunque alla fine firmata solo dal legale rappresentante pro tempore della società datrice.

Avuto esito negativo l’esperimento della prova, parte datoriale pretendeva di azionare il relativo recesso, ma si vedeva eccepire l’omessa sottoscrizione congiunta.

Il giudizio di primo grado si chiudeva con la reintegra della lavoratrice ex art. 18, co. 4, L. n. 300/1970, sul rilievo che il patto di prova fosse privo della forma ad substantiam per come imposta dall’art. 2096 c.c..

Anche la Corte territoriale reputava corretto l’iter motivazionale del Tribunale, dovendo essere la lavoratrice reintegrata nel proprio posto di lavoro per insussistenza del fatto addotto come giustificato motivo soggettivo.

Ricorre per cassazione la società datrice di lavoro.


2. I MOTIVI DI RICORSO.

La società ricorrente, in estrema sintesi, chiede agli ermellini una nuova valutazione dell’esigenza che il patto di prova si costituisca solo per iscritto ad substantiam, pena la sua nullità per violazione dell’art. 2096 c.c..

D’altro canto, secondo la prospettazione difensiva, il rapporto sarebbe pur sempre proseguito con l’inganno di fondo, perpetrato dalla lavoratrice, di una promessa di sottoscrizione della proroga, con tutto ciò che ne sarebbe dovuto conseguire sul piano della invalidazione in nuce del vincolo negoziale.


3. LE ARGOMENTAZIONI DELLA CORTE DI CASSAZIONE.

Gli ermellini ritengono infondate le censure.

Ribadiscono, innanzi tutto, che l’art. 2096 c.c. impone la forma scritta ad substantiam e non già ad probationem.

In altri termini, il presupposto di tale patto si fonda, per l’esistenza stessa della clausola accessoria, sulla forma scritta.

Tale ritualità non è un inutile orpello, perché il datore di lavoro non può avvalersi di un patto di prova a cui non abbia dato corretta esecuzione. Si pensi, ad esempio, all’ipotesi in cui abbia fondato le proprie valutazioni di recesso su mansioni diverse da quelle cristallizzate nella forma scritta che, dunque, è stabilita a precipua guarentigia del lavoratore nel momento in cui va a sottoscrivere il contratto individuale.

Non si tratta, pertanto di mera astrazione, o di “casi di scuola”, perché è sovente che il datore di lavoro adibisca a mansioni non individuate nel patto di prova, ma di fatto egualmente assegnategli.

A parere della Corte di Cassazione, inoltre, tale patto deve sussistere fin dall’inizio del rapporto, senza possibilità che lo stesso sia surrogabile da equipollenti formule o sanatorie. E’ così che, come nella fattispecie de qua, un accordo di proroga, firmato successivamente alla costituzione del rapporto, essendo posto a latere è del tutto indifferente sul piano di efficacia dei termini di durata della prova.

Da qui la illegittimità del licenziamento azionato per inidoneità causale addotta a sua giustificazione.


4. LA NATURA E FUNZIONE DEL PATTO DI PROVA.

La sentenza annotata consente di fare il punto dello stato dell’arte del patto di prova apposto ad un contratto individuale di lavoro.

Si tratta, come anticipato, di una clausola accessoria, ma non per questo infrequente nella prassi negoziale di matrice giuslavoristica.

La sua funzione è di reciproca convenienza: il datore di lavoro suo tramite ha la facoltà di misurare in concreto capacità, personalità e attitudini professionali del prestatore di lavoro, prima di decidere se stabilizzarne l’assunzione; il lavoratore, invece, potrà saggiare il tipo di attività da svolgere, il contesto lavorativo di riferimento e di adibizione.

E’ così che l’apposizione di un patto di prova sarà illegittimo, e dunque affetto da nullità, tutte le volte in cui tra le stesse parti siano già intercorsi uno più rapporti di lavoro a termine (cfr. Cass. Civ., n. 4635/2016, in Foro It., 2016, 4, 1, 1218 ), ma la mansione assegnata al lavoratore sia stata e continui ad essere identica e/o similare.

Invero, la ripetizione del patto di prova, in occasione di un successivo rapporto di lavoro i medesimi contraenti, è ammissibile solo se il giudice, nel suo libero apprezzamento, ritenga che lo stesso consenta al datore di lavoro di valutare nuove circostanze o fattori modificati nel corso dell’arco temporale (es. attuali abitudini di vita del lavoratore, insorgenza di problemi di salute).


5. LA CONTESTUALITA.

Qualora il datore di lavoro assuma il prestatore e solo successivamente apponga al contratto individuale un patto di prova, questo, è affetto da nullità.

La nullità non è superabile neanche attraverso un giuramento o una confessione.

Gli effetti per il datore di lavoro saranno dirompenti giacché il rapporto di lavoro deve intendersi instaurato definitivamente sin dall'inizio, e il lavoratore non è più licenziabile, se non per giusta causa e/o per giustificato motivo, ricorrendone i presupposti di fatto (es. a seguito di contestazione disciplinare).


6. LE MANSIONI NEL PATTO DI PROVA VANNO INDIVIDUATE SPECIFICAMENTE.

Come accennato affinché il patto sia valido occorre avere l’accortezza di individuare le mansioni oggetto di prova in modo preciso e non già generico. Ad avviso di chi scrive non sarebbe sufficiente operare un mero richiamo alle declaratorie previste dalla contrattazione collettiva.

Il lavoratore è soggetto debole del rapporto contrattuale e dunque deve avere fin da subito sufficiente certezza di ciò che deve svolgere coerentemente al livello di inquadramento.

Il mero rinvio per relationem appare così un abuso del diritto da parte datoriale soprattutto quando il lavoratore sia chiamato a svolgere compiti di responsabilità. Va da sé, infatti, “che gli spazi necessariamente lasciati vuoti dalla contrattazione collettiva per ciò che concerne modalità e contenuti operativi delle relative mansioni siano da colmare con la precisa indicazione degli obiettivi concretamente raggiungibili nel periodo di prova concordato, altrimenti rimanendo innegabile, in assenza di contenuti riscontrabili, o comunque suscettibili di alternative valutazioni, che il patto di prova, del tutto incoerentemente con la sua causa” (così App. Campobasso Sez. lavoro, 16/09/2014).

Si segnala tuttavia la più ampia veduta di altri giudici di merito (cfr. Trib. Milano, Sez. Lav., 23/03/2015), secondo cui “la specifica indicazione delle mansioni che costituiscono l'oggetto del patto di prova può essere operata anche per relationem alla qualifica di assunzione, ove questa corrisponda ad una declaratoria del contratto collettivo che definisca le mansioni comprese nella qualifica”.


7. IL PATTO DI PROVA NON RICHIEDE LA DOPPIA SOTTOSCRIZIONE EX ART. 1341 C.C.

Il patto di prova è funzionale ad entrambe le parti, pertanto non soggiace alla disciplina delle clausole vessatorie sulla doppia sottoscrizione, né a quella della specifica trattativa individuale di stampo consumeristico.

Le clausole vessatorie, come noto, operano invece a favore solo del predisponente, potendo porre a carico dell’aderente un coacervo di obblighi particolarmente onerosi rispetto alla normalità del sinallagma.

Il patto di prova impossibile, ad esempio, con apposizione di una condizione di superamento di una mansione abnorme ed avulsa da un criterio di id quod plerumque accidit sarebbe di per sé colpita da nullità, senza per questo dover ricorrere all’applicazione dell’art. 1341, co. 2, c.c..


8. ULTERIORI PROFILI OPERATIVI.

La durata del patto di prova è stabilita da ciascun Contratto Collettivo di categoria, ma l’art. 10, L. 15.07.1966, n. 604 impone, in modo imperativo ed inderogabile, che non possa superare il limite massimo di sei mesi.

Il computo del periodo di prova va riferito ad un periodo di lavoro effettivo, pertanto il suo decorso si sospende per l’incidenza di causa imprevedibili come infortuni, scioperi o malattia (cfr. Trib. Milano 12/01/2016; Cass. Civ. n. 19043/2015, in Dir. e Pratica Lav., 2016, 14, 905 ). Fuori dall’alveo della imprevedibilità anche la fruizione di ferie da parte del lavoratore sospende il decorso del periodo di prova giacché impedisce allo stesso di porre in essere la propria prestazione da valutare.

Il citato art. 10, L. 15.7.1996, n. 604, ha espressamente escluso dal proprio ambito di applicazione il licenziamento in periodo di prova. Ciò comporta che il datore di lavoro possa far cessare unilateralmente il contratto individuale non solo al termine del periodo di prova, ma anche in pendenza di questo.

Si tratta di un recesso ad nutum, pertanto incomberà sul lavoratore l’onere di provare il positivo superamento del periodo di prova.

Il recesso datoriale, però, non deve tradursi in mero arbitrio. Classica è l’ipotesi di recesso datoriale solo dopo qualche giorno dall’inizio del periodo di prova. L’illegittimità di una tale decisione datoriale potrebbe derivare dal fatto di non aver consentito al lavoratore di eseguire la prestazione sottoposta a valutazione per un tempo sufficiente con ciò violando gli obblighi di buona fede e correttezza in executivis.


9. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE.

In tema di patto di prova, ai fini della valutazione dell'esito dell'esperimento, assumono rilevanza le mansioni espressamente individuate nel patto inserito nel contratto.

Anche il patto di prova, va confezionato tenendo a mente la sua causalità, che consiste nell’interesse di entrambe le parti a sperimentarne la convenienza del rapporto lavorativo.

Dunque non è suscettibile di valutazione il periodo in cui il lavoratore venga impiegato in mansioni del tutto marginali e comunque diverse o addirittura inespresse rispetto a quelle proprie del ruolo fatto oggetto della prova.

Non va dimenticato come il giudice adito, in caso di controversia, al fine di verificare l’efficacia causale della clausola pattizia effettuerà pur sempre una comparazione tra le mansioni espletate durante il periodo di lavoro e quelle oggetto dell’esperimento.

Sul piano pratico la manifestazione recessiva datoriale colpita da nullità non inficia l’intero assetto contrattuale che, espunta la clausola accessoria illegittima, resta in vita ai sensi dell'art. 1419 c.c..

A fronte del licenziamento del lavoratore per mancato superamento della prova, è applicabile la tutela prevista dall'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori allorché le mansioni oggetto dell'esperimento della prova siano state significativamente diverse da quelle pattuite a quei fini.



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