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CAPITALI ILLECITAMENTE DETENUTI ALL’ESTERO:
NON SUSSISTE RICICLAGGIO SENZA LA PROVA DEL DELITTO PRESUPPOSTO

di Serena Gentile, Avvocato penalista del Foro di Taranto


Cassazione Penale, Sezione II, Sentenza 7 aprile 2016, n.13901


In ipotesi di rinvenimento di capitali illecitamente detenuti all’estero il reato di riciclaggio può ritenersi configurabile solo qualora l’accusa riesca a dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la realizzazione di un precedente delitto. La prova dell’esistenza del reato presupposto è requisito indefettibile per l’addebito della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 648 bis c.p.”

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Il caso concreto

Con sentenza del 24.06.2015 la Corte d’Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza emessa all’esito di giudizio abbreviato dinanzi al Tribunale di Busto Arsizio, assolveva un soggetto accusato di concorso in riciclaggio e confermava la condanna per concorso in dichiarazione fraudolenta di cui all’art.2 del D.Lgs. 74/2000.

L’imputato era chiamato a rispondere del delitto di cui all’art.648-bis c.p. per avere, in concorso con i propri fratelli, giudicati separatamente, ostacolato l’identificazione della provenienza illecita della somma di Euro 8.500.000,00 quale provento del delitto di evasione fiscale perpetrato dal padre ormai deceduto, facendo rientrare in Italia la suddetta somma di denaro locupletata per anni in Paesi a fiscalità privilegiata, mediante la costituzione e la gestione di plurime società di diritto estero. Tuttavia, a parere della Corte territoriale, con riferimento all’addebito riciclatorio, non è stato provato che il denaro movimentato fosse riconducibile ad un autonomo e diverso reato cui l’imputato non abbia concorso.


Brevi cenni sul delitto di riciclaggio

L’art.648-bis c.p. recita “Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 1.032 a euro 15.493.

La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell'esercizio di un'attività professionale.

La pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni. Si applica l'ultimo comma dell'articolo 648 (art.648-quater c.p.)”.

Trattasi di reato contro il patrimonio mediante frode che, in ragione della clausola di riserva che apre la fattispecie incriminatrice, si configura solo laddove venga commesso da altri soggetti un illecito penale presupposto (esclusi i delitti colposi e le contravvenzioni), dal quale originino proventi che possano costituirne oggetto di attività di laudering.

Il riciclaggio rientra nella categoria dei reati comuni: soggetto attivo del delitto può essere “chiunque” che dopo aver ricevuto beni provenienti da delitto, li sostituisca o trasferisca ovvero compia altre operazioni volte al mascheramento della provenienza criminosa.

La condotta tipica è descritta secondo tre diversi modelli fattuali: la sostituzione, il trasferimento e le altre operazioni, dirette ad ostacolare l’identificazione dell’origine delittuosa dei beni. Rispetto alle precedenti versioni – che configuravano il delitto in parola come fattispecie a consumazione anticipata e successivamente come reato di evento – in base all’attuale disciplina il riciclaggio è qualificato dal legislatore come reato istantaneo e di pura condotta, che si consuma con la messa in atto della sostituzione, del trasferimento o dell’operazione che ostacola l’identificazione dei proventi.

Secondo le ricostruzioni ermeneutiche, non è necessario che l’ostacolo all’individuazione della provenienza del profitto sia effettivo e che sia venuto concretamente in essere. Basta che la condotta di ripulitura del provento delittuoso dia luogo ad una difficoltà nell’individuazione della derivazione della res: in sostanza, il comportamento non deve necessariamente determinare un’oggettiva impossibilità di accertare l’origine criminosa dei valori trasferiti, ma deve possedere una significativa insidiosità in tal senso.

In ordine al reato presupposto si ritiene non sia presupposto indefettibile per la configurazione del riciclaggio l’accertamento giudiziale del primo. Parimenti, la fattispecie in parola deve presumersi configurabile anche se il delitto presupposto è stato commesso da persona non punibile o non imputabile o quando manchi una condizione di procedibilità a tale reato, ovvero quando si tratti di proventi di un reato commesso all’estero.

Quanto all’elemento soggettivo è necessaria la consapevolezza della provenienza delittuosa del bene reinvestito e la volontà di ostacolarne, con una condotta idonea, l’identificazione della provenienza. Dunque, a differenza della ricettazione, il riciclaggio si integra col solo dolo generico.


L’impugnazione del provvedimento emesso dai Giudici distrettuali

Avverso la sentenza pronunciata dalla Corte d’Appello di Milano ricorrono per Cassazione i difensori dell’imputato per i capi ed i punti relativi alla condanna del proprio assistito, nonché il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Milano avverso il capo assolutorio pronunciato nei confronti del prevenuto. Per le argomentazioni che qui interessa sviluppare è d’uopo concentrare l’attenzione sulle censure sollevate dal Procuratore Generale, in particolare su quella concernente la violazione dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e) c.p.p. in relazione all’art.648-bis c.p., art.192 e 546, lett.e), c.p.p. Secondo il rappresentante della Pubblica Accusa il Giudice di secondo grado avrebbe errato nella valutazione del coacervo probatorio, ricco di elementi documentali eloquenti, acquisiti mediante rogatoria. Evidenzia il ricorrente che dal compendio investigativo è emerso chiaramente che l’imputato abbia fatto ricorso all’ausilio di professionisti esperti per predisporre un piano di rientro dei capitali e che abbia distrutto tutta la documentazione presente nel computer : tutto ciò lumeggierebbe la piena consapevolezza della provenienza illecita del denaro. D’altra parte, come rilevato dal Decidente di primo grado, non risulta che il padre dell’imputato, titolare della società sino alla sua morte, fosse titolare di redditi diversi da quelli societari o che avesse denunciato la proprietà di beni detenuti all’estero. Gli stessi fratelli dell’imputato hanno ammesso che quella somma ingente era derivante da eredità paterna. Alla luce di ciò, conclude il P.G., risulterebbe in maniera solare che il denaro rinvenuto costituiva res illecita, derivante da reati tributari commessi del de cuius.


Il ricorso del Procuratore Generale è infondato.

La Corte di Cassazione rigetta l’impugnazione proposta dalla Pubblica Accusa. A parere degli Ermellini della II Sezione Penale le argomentazioni assolutorie dal reato di riciclaggio rese dalla Corte d’Appello di Milano sono perfettamente congrue ai principi di diritto dettati in materia, oltre che lineari e logiche in punto di ricostruzione probatoria dei fatti.

Non vi sono, nella specie, prove decisive che possano fondare la penale responsabilità dell’imputato per il delitto di cui all’art.648-bis c.p. al di là di ogni ragionevole dubbio.

Come ha sottolineato la Corte d’Appello, un dato incontrovertibile è che il padre dell’imputato è morto nel 1998 e che prima della sua dipartita non ha avuto origine alcuna indagine giudiziaria od accertamento fiscale: non può essere escluso a priori che i capitali costituiti all’estero fossero di derivazione lecita. Ne consegue che non è dimostrabile la realizzazione da parte del defunto di un delitto di evasione fiscale, che può, al più, essere meramente ipotizzata. Tra l’altro, all’epoca del trasferimento del denaro (prima del 1998) non valeva la presunzione di illiceità fiscale di fondi detenuti all’estero e non dichiarati, introdotta in Italia con il Decreto Legge n.78/2009. Ancora oggi, comunque, non esiste un automatismo tra il trasferimento di capitali all’estero e la commissione di condotte fraudolente: ognuna di queste azioni richiedono un esame specifico alla luce di elementi probatori concreti.

In altre parole, la Suprema Corte ritiene il provvedimento impugnato meritevole di conferma in ragione del principio di diritto ivi enucleato, secondo cui è vero che la configurabilità del delitto di riciclaggio non impone l’individuazione del reato presupposto nei suoi specifici lineamenti strutturali, ma è anche vero che siffatta ipotesi criminosa non può dirsi perfezionata quando, addirittura, non risulta possibile stabilire se vi sia stato un delitto fonte.


Il rafforzamento della tutela anti-riciclo: il nuovo delitto di autoriciclaggio

Come è noto, il 1° gennaio 2015 è entrata in vigore la Legge 15 dicembre 2014, n.186, con la quale il legislatore italiano, a seguito dei numerosi richiami giunti dall’ordinamento sovranazionale, è riuscito finalmente ad introdurre nel codice penale il delitto di autoriciclaggio, contemplato dal nuovo art.648 ter.1 c.p. A differenza della fattispecie sorella del riciclaggio, ove l’espressa clausola di riserva impedisce la configurazione del reato nel caso in cui l’autore della condotta riciclatoria sia lo stesso del reato presupposto, la figura criminosa neo-introdotta, ai fini della sua integrazione, richiede proprio che il riciclatore sia anche il soggetto agente del delitto fonte. Ai fini applicativi, in virtù dei tratti comuni tra le suddette fattispecie, in assenza di giurisprudenza specifica in tema di autoriciclaggio (in relazione al quale la Corte di legittimità si è pronunciata ancora solo in due occasioni, Cass.Pen., Sez.II, 17 gennaio 2016, n.3691; Cass.Pen., 23 maggio 2016, n. 21348), il giurista deve mutuare principi già espressi sul reato di riciclaggio e sulle altre fattispecie sorelle, cioè la ricettazione e l’impiego di denaro, beni ed altre utilità di provenienza delittuosa (rispettivamente, contemplate agli artt.648 e 648 ter c.p.).

Per tale motivo, i tratti delineati dai Giudici di Piazza Cavour nella sentenza in commento, a parere dello scrivente, debbono ritenersi applicabili anche alla nuova ipotesi delittuosa di autoriciclaggio.


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